Con Marco Meroni, il papà di Alessandro, ripercorriamo la genesi del progetto Come ha preso forma l’idea di realizzare una casa adatta a soddisfare le nuove necessità di un bimbo che nel 2016, a soli 4 anni, è stato colpito da un virus raro?
“Al rientro da dieci mesi in ospedale – racconta - ci siamo accorti che la nostra casa non rispondeva più alle nostre esigenze. Abbiamo allora cominciato a muoverci per trovare una nuova soluzione più adeguata: una casa su un solo piano, che fosse possibilmente circondata da un giardino. Finalmente abbiamo trovato la struttura che faceva al caso nostro: una casa degli anni Sessanta, che abbiamo iniziato a ristrutturare completamente, grazie anche ai vari partner del progetto e che indicativamente nell’arco di sei mesi dovrebbe essere pronta”.
Perché è stata scelta proprio la località di Villa Guardia?
Villa Guardia, in provincia di Como, è il Comune dove siamo attualmente residenti e al quale siamo profondamente legati, perché abbiamo trovato fin dall’inizio della nostra vicenda un’amministrazione molto attenta ai problemi delle persone con disabilità e disponibile all’ascolto delle problematiche sociali.
Ci accompagni virtualmente all’interno della casa: come è strutturata e come verrà attrezzata?
Il progetto di ristrutturazione ha completamente stravolto la pianta precedente: di fatto rimangono solo i muri perimetrali… Sia la porta di ingesso che quella della cucina sono automatizzate, a scorrimento verticale e apribili con un comando esterno. Questo faciliterà il passaggio in autonomia di Ale con la carrozzina. Il soggiorno e la cucina sono concepiti come open space, per avere più spazio per la circolazione. La camera di Ale è dotata di doppio accesso, con un’apertura anche verso la nostra camera: in questo modo per noi è più facile intervenire tempestivamente per aiutare Ale quando di notte la situazione lo richiede.
Il bagno è stato dotato di un apposito binario per consentirci di spostare Ale, una volta imbragato, con l’ausilio di un sollevatore elettrico. Proseguendo, si accede alla camera della sorella e allo studio, uno spazio indipendente dalla camera di Ale, dove il bambino può fare fisioterapia e gli esercizi di riabilitazione. Tra l’altro in futuro questo locale potrebbe essere utilizzato come studio da mia moglie, fisioterapista, e potrebbe essere messo a disposizione di altre persone esterne affette da disabilità di vario tipo.
Ogni spazio verrà completamente automatizzato, per far sì che Ale possa svolgere tutte le attività in piena autonomia. Per raggiungere questo risultato, stiamo valutando tutte le tecnologie disponibili sul mercato, ma andiamo anche oltre: siamo anche in contatto con aziende pronte a sedersi a tavolino con noi per studiare ipotetiche nuove soluzioni che non sono ancora in commercio. Tutte tecnologie che, una volta messe a punto per Ale, potranno essere condivise anche con altre perone disabili.
Sarà un percorso complesso… la ricerca del potenziale fornitore, l’individuazione delle necessità e la fattibilità...
Dipende dalla tecnologia e dal reale grado di innovazione delle tecnologie. Per esempio, sono in contatto con un designer austriaco che ha realizzato una porta, originariamente nata come opera di design, che si apre con il semplice tocco di un dito. Gli ho fatto capire che, industrializzando la produzione, avrebbe potuto essere di aiuto per le persone disabili o anziane. E ancora abbiamo dovuto cercare un produttore di porte che fossero adatte a ospitare il binario di cui parlavo prima. Fino ad arrivare a soluzioni particolari, per le quali abbiamo chiesto anche la collaborazione con il Politecnico di Milano. Ho contattato anche Google per ottimizzare l’efficienza di Google Assistant... A spingerci è la voglia di fare, non vogliamo porci dei limiti in questo momento, neanche di tipo economico. Vogliamo concentrarci solo sulla domanda: come possiamo risolvere le nostre necessità? E trovare risposte.
E come è nata l’idea, a questo punto, di coinvolgere altre figure e altri partner?
In tutto questo percorso siamo stati assistiti da un architetto, da mia moglie fisioterapista e da altre figure professionali, lavorando su più fronti. Il punto di partenza è stato un pensiero: abbiamo un bambino di 9 anni, conosciamo le sue attuali necessità, ma non sappiamo quali potranno essere le sue esigenze tra una decina di anni. Per questo motivo ho cominciato a chiedere informazioni a chi aveva avuto esperienze simili. In realtà siamo sempre focalizzati sul nostro orticello e non ci rendiamo conto che, al di fuori, esistono tante situazioni simili. Ed ecco che affiora l’importanza della condivisione, che è diventata il nostro punto di forza: desideriamo che tutto questo nostro percorso diventi bagaglio acquisito da condividere con altri. Abbiamo preso contatti con l’associazione “Vorrei prendere il treno” e attraverso la loro pagina Facebook abbiamo chiesto se qualcuno aveva suggerimenti per le nostre necessità. Abbiamo ricevuto idee e consigli, per esempio su come ottimizzare la ristrutturazione del bagno, rendendolo più adatto a una persona disabile.
Ci siamo poi affidati ai vari partner come la Hoval, che, ciascuno con le proprie competenze, ci stanno offrendo il loro prezioso contributo. Siamo anche in contatto con il centro di riabilitazione Sim-patia, noto per la loro capacità di trovare soluzioni innovative a livello tecnologico, e stiamo mettendo le basi per realizzare con loro un percorso in modo da “esportare” le loro competenze, maturate all’interno delle strutture riabilitative, all’interno delle case private.
La collaborazione con le aziende è nata un po’ spontaneamente con il contatto diretto, grazie anche alle mie esperienze lavorative nel marketing e nella comunicazione. Man mano il cerchio si è allargato e oggi abbiamo un network ben strutturato.
In particolare, qual è il valore aggiunto delle soluzioni Hoval all’interno del progetto?
Ale ha una ventilazione invasiva: vale a dire che l’aria, bypassando le vie aeree superiori che costituiscono un efficace filtro per il riscaldamento e l’umidificazione, viene introdotta direttamente nella trachea. Ė quindi importante predisporre un ambiente sanificato, con una ventilazione che garantisca il giusto apporto in termini di umidità e di riscaldamento e che scongiuri il rischio di infiammazioni.
Tutto questo è però destinato ad andare ben oltre le necessità di Ale.
La sua ambizione è infatti farla diventare una concept house da cui trarre ispirazione per altri progetti di questo tipo… Come si sta muovendo in questo senso e quali riscontri ha ottenuto finora?
Abbiamo creato la pagina Facebook https://www.facebook.com/ilvolodiale e il sito https://ilvolodiale.it/ dove raccontiamo la nostra storia e attraverso questo canale abbiamo già ricevuto richieste di informazioni da parte di persone che stanno vivendo esperienze simili. Inoltre, l’anno scorso, a ottobre, abbiamo presentato il progetto a Regione Lombardia, che si è dimostrata molto sensibile e interessata. Il nostro obiettivo però non è la raccolta di fondi: la nostra è un’iniziativa privata e l’idea è quella di aprire la casa ad altre persone, per farla visitare su appuntamento e presentarla attraverso i nostri partner. Sono fermamente convinto che attraverso il network potremo dare l’opportunità anche a enti e istituzioni di scoprire nuove soluzioni piuttosto che dare suggerimenti per modificare regolamenti poco in linea con le esigenze della disabilità. Dall’esperienza maturata fino ad oggi, posso dire che i risultati sono stati ottenuti sempre dall’incontro e dalla condivisione con altre esperienze. Quanto al nome della casa, all’inizio l’avevo chiamata Concept House, oggi preferisco definirla Living Lab: uno spazio per testare idee che poi possano essere riprese anche da altri. Ne sono sicuro, insieme possiamo fare tanto…